Il naufragio della Costa Concordia è stata una delle più grandi sciagure navali degli ultimi tempi.
Un impiego imponente di risorse umane ed economiche ha evitato che si trasformasse anche in un grande disastro ambientale.
Il recupero della nave, iniziato il 3 febbraio 2012 con l’avvio dello studio della proposta progettuale, si è concluso il 27 luglio 2014 con l’arrivo nel porto di Genova dopo quattro giorni di navigazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Mario Scaglioni

 

Il recupero della
Costa Concordia

 

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Progetto dai grandi numeri

Il recupero della nave da crociere Costa Concordia naufragata presso l’isola del Giglio la notte del 13 gennaio 2012, unico per le dimensioni in gioco e per la metodologia applicata, si è sviluppato secondo quattro fasi principali:

1) Stabilizzazione del relitto
2) Falso fondale di appoggio dopo la rotazione
3) Rotazione
4) Rigalleggiamento

L’obbiettivo era quello di rendere il relitto nuovamente galleggiante in tutta sicurezza in termini di stabilità al ribaltamento e di robustezza globale per poterlo rimuovere in un pezzo unico, cosa molto importante per ridurre il più possibile l’impatto ambientale in un’area molto delicata come quella dell’Isola del Giglio. Lo sviluppo di un’idea tale da poter garantire la rimozione del relitto nella sua interezza è stata la carta vincente del progetto presentato dal consorzio TITAN/MICOPERI, che ha prevalso, nella gara internazionale, su altre cinque proposte di società esperte in recuperi a livello mondiale.
Per iniziare si richiama l’attenzione sulle caratteristiche principali della Costa Concordia:

Lunghezza: 289.60 m
Larghezza: 35.50 m
Altezza all’ultimo ponte: 52.15 m
Numero ponti: 18
Peso: 44600 tonn

Nella sua posizione iniziale, il relitto occupava lo spazio di quasi tre campi di calcio messi in fila.
Vediamo ora le varie fasi dell’operazione.

La stabilizzazione si è resa necessaria per evitare che la nave, con il fianco destro appoggiato su un fondale inclinato di circa 25°, potesse scivolare a profondità maggiori, a causa di mareggiate ed eventuali cedimenti strutturali, rendendone così molto più difficoltoso, se non impossibile, il recupero. Per evitare questo il relitto è stato bloccato con delle catene con una estremità collegata alla fiancata di sinistra dello scafo e l’altra a delle strutture di ancoraggio fissate sul fondo del mare tra il relitto e la costa; ciò è stato reso possibile dal fatto che lo scafo non era tutto a contatto con il fondale, ma appoggiava principalmente su due speroni di roccia, consentendo così di far passare le catene sotto lo scafo in più punti.

Risolto il problema della stabilizzazione del relitto, e quindi della sua messa in sicurezza, occorreva creare una sorta di fondo artificiale sul quale far appoggiare la nave una volta portata in posizione verticale. La soluzione scelta è stata quella di installare sul fondo piattaforme tali da costituire un piano di appoggio orizzontale a circa 32 m sotto il livello del mare, massima immersione del relitto. Il sistema delle piattaforme è stato poi integrato da tutta una serie di grossi materassi calati sul fondo, infilati sotto il relitto e poi riempiti a pressione, dalla superficie, con materiale cementizio, così da poter adattare la loro forma al fondale. Le piattaforme, in numero di sei (tre di maggiori dimensioni e tre più piccole), sono state realizzate con tubi di acciaio e installate tramite pali infissi in fori preventivamente realizzati nel fondo del mare. La particolare conformazione e consistenza del fondale hanno creato non poche difficoltà alle operazioni di trivellazione. Inoltre la realizzazione di questo piano di appoggio ha richiesto grande precisione esecutiva sia nel localizzare i punti da trivellare sia nella costruzione delle piattaforme, per un’installazione che non poteva presentare margini di errore. Una volta completato, il falso fondale aveva approssimativamente una lunghezza di 160 m e una larghezza massima di 45 m. Per la sua realizzazione sono state usate 7000 tonn di acciaio (quasi l’acciaio usato per la torre Eiffel) e 12000 m3 di materiale cementizio (volume corrispondente all’incirca a un edificio di 520 m2 di base e 8 piani di altezza).
Per la creazione del piano di appoggio è stata scelta la soluzione descritta perché rende possibile la rimozione di tutto quanto installato, così da poter ottenere, dopo la rimozione del relitto, la totale pulizia dell’area interessata dal naufragio.

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Schema piattaforma sottomarina
  Piattaforma durante il trasporto dal cantiere costruttore al Giglio

Con la creazione del falso fondale è stato compiuto un grosso passo avanti per il prosieguo delle operazioni. Si trattava ora di far ruotare il relitto per riportarlo in posizione verticale. Il sistema adottato si è basato sull’utilizzo di martinetti idraulici detti “a recupero di cavo”; l’idea era quella di raddrizzare il relitto tirando verso mare con dei cavi collegati alla fiancata di sinistra della nave; la cosa doveva essere eseguita con molta cautela e con l’assoluto controllo delle forze applicate. I martinetti idraulici hanno consentito di eseguire una sorta di tiro alla fune con le mani che tirano una alla volta in sequenza; naturalmente tutto monitorato in continuazione per dosare sia la forza applicata alle funi sia l’entità del loro recupero, allo scopo di non indurre sulla struttura dello scafo carichi e deformazioni che avrebbero potuto comprometterne la resistenza.
La stabilizzazione di cui si è parlato all’inizio ha giocato un ruolo molto importante anche in questa operazione, per non correre il rischio di far scivolare il relitto durante le prime fasi di tiro.
Per l’operazione di rotazione sono stati usati 36 martinetti con una capacità massima di tiro di 350 tonn ognuno. I martinetti sono stati installati su alcuni cassoni di spinta (decritti più avanti) preventivamente installati sulla fiancata di sinistra, mentre l’altro capo dei cavi è stato fissato alle piattaforme sottomarine.
L’operazione di rotazione è durata circa 19 ore e si è felicemente conclusa alle 4.00 del 17 settembre 2013, con grande soddisfazione di tutti. Si è trattato di un risultato molto importante che ha tranquillizzato gli scettici sulla riuscita del progetto e dato ulteriore fiducia a tutti coloro che ci avevano creduto fin dall’inizio.

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Relitto pronto per la rotazione


A questo punto è arrivato il momento di parlare dei famosi “cassoni”.
Una volta riportato il relitto in posizione verticale, e appoggiato sul falso fondale, bisognava ridargli quella spinta idrostatica, persa in conseguenza del naufragio, necessaria a farlo galleggiare; la collisione con lo scoglio, con il conseguente squarcio sul fianco sinistro lungo circa 50 m, e i danni creati allo scafo sul fianco destro dalla permanenza in appoggio sui due speroni di roccia per un anno e mezzo, avevano portato al totale allagamento della carena.
Fin dall’inizio dello studio del recupero della Costa Concordia si era convinti dell’importanza di ridare spinta al relitto in maniera certa e controllabile, per cui sono state subito scartate soluzioni un po’ fantasiose, e del resto non prese proprio sul serio, di chi proponeva di iniettare all’interno del relitto della schiuma o una sorta di palline da ping-pong.
L’unico modo per avere una spinta nota era quello di costruire ex novo degli elementi stagni e applicarli all’esterno dello scafo a costituire un gigantesco salvagente.
Sono stati così costruiti 30 cassoni in acciaio, a forma di parallelepipedo, con due diverse altezze, che sono stati poi installati, 15 per lato, lungo le murate dello scafo. Per dare un’idea della dimensione di un singolo cassone si pensi a un edificio con una superficie orizzontale di 120 m2 e un’altezza variabile da 7 a 11 piani.


In aggiunta a questi ne sono stati costruiti 2, di forma particolare per poter aderire alla carena, installati sotto la prua per sostenere, già dalle fasi di completamento della rotazione, l’estremità prodiera dello scafo che non aveva alcun appoggio sul falso fondale, data la conformazione del fondale stesso, e che, secondo i calcoli eseguiti, rischiava di cedere; questi due cassoni aggiuntivi sono stati un po’ come il collare che viene usato per immobilizzare la testa di un paziente traumatizzato.
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    Cassone durante le lavorazioni in cantiere

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“Collare” di prua

Il collegamento dei cassoni alla Costa Concordia è stato eseguito in parte mediante saldatura, sulla murata di sinistra, cosa resa possibile dal fatto che tale murata prima della rotazione del relitto era fuori acqua, e in parte con sistemi meccanici (ganci, perni e catene fissate sul lato opposto e passanti sotto lo scafo).
Sempre per dare un’idea dei numeri che hanno caratterizzato il progetto, le catene utilizzate hanno un peso a metro di circa 400 kg con una singola maglia lunga 800 mm, larga 500 mm e spessa 130 mm. In totale ne sono stati usati ben 3250 m.
Per la costruzione dei cassoni e dei loro sistemi di collegamento allo scafo sono state usate 18300 tonn di acciaio.
L’acciaio usato in totale per questo progetto ammonta a 45000 tonn, equivalenti, con il solito paragone parigino, a circa 6 torri Eiffel.
Per le varie installazioni (ancoraggi, cassoni, catene ecc.) sono state usate navi dotate di mezzi di sollevamento con capacità fino a 1200 tonn ognuno.

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Installazione cassoni prima della rotazione

 

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Installazione cassoni dopo la rotazione

 

A fine rotazione i cassoni installati sul lato di sinistra sono stati completamente allagati per appesantire il relitto sul piano di appoggio in modo da dare maggiore stabilità al tutto durante il periodo invernale 2013/2014 e resistere meglio alle azioni esterne dovute alle mareggiate, con il rischio di “scivolamento” del relitto sul piano d’appoggio.
Durante tutte le fasi di installazione dei cassoni dopo la rotazione si è opportunamente dosato il quantitativo di acqua al loro interno per agevolare l’installazione stessa e tenere i cassoni in posizione.
Completata l’installazione dei cassoni, si è dato inizio alle operazioni di rigalleggiamento, durate circa una settimana. Per fare questo i cassoni erano dotati di un impianto ad aria compressa che ha consentito lo svuotamento progressivo degli stessi così da avere la spinta sufficiente a far sollevare l’insieme (relitto, cassoni collegati allo scafo, acqua zavorra nei cassoni) il cui peso totale è variato da 103000 tonn, nella fase iniziale di rigalleggiamento, a 77500 tonn a fine rigalleggiamento.

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Rigalleggiamento completato


Il recupero della Costa Concordia, che possiamo dire iniziato il 3 febbraio 2012 con l’avvio dello studio della proposta progettuale, si è concluso il 27 luglio 2014 con l’arrivo nel porto di Genova dopo quattro giorni di navigazione.

A completamento di questa sommaria descrizione di tale “impresa” si riportano altri numeri significativi:

600 persone coinvolte
30 mezzi navali utilizzati per le varie operazioni marittime
26 differenti nazioni rappresentate nella squadra di lavoro
120 subacquei per oltre 15.000 immersioni
30.000 ore di utilizzo di veicoli subacquei comandati a distanza
6.900 disegni e documenti di ingegneria
oltre 60 coordinatori, personale di sicurezza e medico
oltre 50 ingegneri
oltre 10 biologi marini di varie università
180 subcontrattisti

Le principali attività di ingegneria, dallo studio di fattibilità fino al progetto di dettaglio, sono state sviluppate dalle società TECON di Milano e SPLINE di Spinea, con il coordinamento dell’Ing. Ceccarelli di Ravenna.

Mario Scaglioni

Nato a Fabriano (AN) il 10 giugno 1947.
Laureato in “Ingegneria Navale e Meccanica” presso l’università di Genova il 21 dicembre 1971.
Assunto nel maggio 1973 dal Cantiere Navale Breda S.p.a. (ora FINCANTIERI S.p.a.) di Marghera (VE) come impiegato tecnico presso l’Ufficio Allestimento, nel corso del primo anno, per poi diventare responsabile dell’Ufficio Progetti Navi.
Assunto nel febbraio 1977 dalla SUB SEA OIL SERVICES S.p.a. di Milano (società specializzata in lavori subacquei) come impiegato tecnico di primo livello del settore Progettazione e Gestione mezzi navali di superficie e subacquei, promosso dopo quattro anni dirigente del settore Ricerca e Sviluppo.
Iniziata nel novembre 1983 l’attività di libero professionista, quale consulente tecnico di cantieri, industrie, armatori e uffici di progettazione.
Collaborazione, negli ultimi anni, con la NAVAL DESIGNS S.r.l. di Marghera (VE) con la qualifica di Direttore Tecnico.
Fondata nell’aprile 1998 la SPLINE s.c.r.l. (società specializzata in progettazione navale) di cui è tuttora presidente.

Appassionato di musica, suona la batteria con il gruppo jazz Ombre Rosse e con il complesso di flauti dolci Nuovo Mondo Ensemble, cuore pulsante dell’associazione Nicola Saba.